Archivio per la categoria ‘i signori del rondò’

pazza l'idea...

pazza l’idea…

È primavera et je suis foutue. In sottofondo canta la Patty, perché è l’unica voce che riesco grosso modo a riprodurre senza divenire preda di conati di stecche. Forse anche un po’ perché in fondo io le assomiglio, soprattutto in questo periodo di piogge e di ormoni, con tutti i pensieri stupendi che gli vengono dietro. È decisamente questo il momento in cui le mie cellule pian piano si svegliano, stiracchiano pigramente le loro membrane colesterolose e si guardano curiose intorno in cerca di qualcosa da fare dopo il lungo inverno. “Pazza idea” cede il posto alla Lauper, naturalmente, perché la verità è che con la primavera, pioggia o non pioggia, dieta o non dieta per la prova costume, io ho una voglia folle di sentirmi ancora più figa che mai. Voglio ballare, ecco, se solo riuscissi a convincere gli spigoli che non sto facendo nulla di male.

Sto solo cercando, a mio modo, di resistere a quelle che per me sono le tentazioni peggiori, quelle che poi mi fanno sentire in colpa anche per giorni. So benissimo cosa diceva Wilde, che delle tentazioni ci si libera solo cedendovi, ma io non mi libero della voglia di cioccolato o biscotti, mai, e quello che ottengo è solo più peso sulla bilancia. Perciò io non cedo alle mie tentazioni, non a quelle del cibo, almeno. Le altre, lasciamo perdere… se l’unico modo per liberarsi di una tentazione per qualcuno è cedervi, per me è senz’altro cedere a un’altra. Quale, vi starete chiedendo. I rondò veneziani, naturalmente! In questo mondo globale e perverso, mentre le cavallette devastano lo stivale e Roma è coperta da una coltre nera, io cedo il passo al mio lato senza cervello, alla bionda, alla rossa, alla scema che è in me e mi metto a incontrare persone a caso. Il guaio è che so già in partenza dove vanno a parare, questi Tancredi dell’era moderna, che invece che con la spada ti saltano addosso a suon di messaggi, so già cosa vogliono dal mio frustino. Ma anche se lo so, ad alcuni di loro riesco ugualmente ad appassionarmi, inutile dirlo. Beh, siamo onesti, a uno di loro, uno su mille ce la fa.

On air: Girls just wanna have fun

§Leona Luce Togre§

“aveva la moto!”
un ottimo motivo per sposare un uomo

Ho sempre avuto una pessima opinione del matrimonio, di questa solenne istituzione che dovrebbe rappresentare l’amore, il rispetto e l’impegno tra due persone.

I miei genitori si sono conosciuti quando mia madre aveva già alle spalle un divorzio e nel cuore una figlia di undici anni. Forse è mia madre ad avere un vero problema con il matrimonio, ma in qualche modo credo che sia riuscita a trasmettermi il tratto, come si fa con un pezzo di DNA. Si era sposata perché a quei tempi tutti si sposavano e sul momento le era sembrata una buona idea, o più probabilmente l’unica cosa da fare. Non aveva funzionato, naturalmente, e la cosa era risultata evidente quasi fin dall’inizio, quando era nata mia sorella e suo padre voleva impedire a mia madre di portarsela a casa. Mia sorella aveva una gastroenterite e perciò i medici l’avevano data per morta entro pochi giorni: dead baby crying. Sì, penso che abbia pianto parecchio, in quel periodo, ma in compenso poi è diventata una persona granitica, o meglio, una colonna su cui si può contare senza che debba per forza farcelo sapere. Comunque, mia madre si era sposata per moda o per senso del dovere, la prima volta, ed era finita in tribunale, con un misero avvocato d’ufficio, contro un uomo circondato da stuoli di legali, per la custodia di una figlia che chissà quanto aveva voluto.

Avrebbe dovuto imparare, no? No. Si è sposata una seconda volta e per motivi ben più elevati. Me lo ha confessato una sera di ottobre, davanti ad un piatto di involtini primavera.

‹‹Mamma, ma perché mai te lo sei sposato, mio padre?›› le chiedo con aria perplessa.

‹‹Aveva la moto!›› è la sua risposta.

Ecco perché ho sempre avuto una pessima opinione del matrimonio.

[NdA: questo “articolo” è nato in 10 minuti, come mini-mini-racconto per un concorso indetto da una pagina di Facebook, che scadeva esattamente a mezzanotte, come Cenerentola. Nel panico prima ho inoltrato una mail sbagliata e poi, finalmente, quella giusta. Dopo circa mezzo minuto hanno chiuso ufficialmente il concorso. Sono una dannata paraculata.]

§g§

Ecco a voi una nuova, sugosissima ricetta, nata per celebrare una grande occasione: l’inizio delle serate rondò del nuovo anno!

direttamente dal nostro ricettario!

/difficoltà  ▪▪▪▪▫

/per 4 persone

/ingredienti

  • 500g di salsiccia
  • 1 litro di salsa di pomodoro
  • 1 melanzana grossa (circa 300g)
  • cipolla
  • olio extravergine di oliva
  • 1 peperoncino rosso

/preparazione

tagliare la melanzana a grosse rondelle, disporle su un vassoio, spargerci sopra un pizzico di sale e lasciar riposare per 15-20 minuti. Tagliare la salsiccia a pezzi grossi e piccoli. Preparare in una padella larga un soffritto di cipolle, disporre i pezzi di melanzana e farli rosolare qualche minuto a fuoco alto aggiungendo un filo d’olio. Aggiungere sugo di pomodoro in modo da ricoprire completamente le melanzane. Aggiungere la salsiccia. Tagliare il peperoncino a pezzi molto piccoli e mescolarlo nella padella avendo cura di mettere anche i semi. Cuocere per 40-45 minuti a fuoco lento con il coperchio. Togliere il coperchio nelle fasi finali per far rapprendere il tutto. 

/vino  rosso di Valtellina da uve Nebbiolo

buon appetito, e fateci sapere che cosa ne pensate!

/m

preparatevi ad una storia… piccante!

Stavo pensando a due frasi fatte. “Il mondo è bello perché è vario” e “la vita è una e va vissuta intensamente”. Poi ho pensato: più intensamente di così si muore. La passione anima e sostiene alcune persone più di altre, e già così, nella routine, i passionali vivono succhiando tutto il midollo della vita. Immaginiamo allora che cosa potrebbe succedere quando in queste persone ardenti la passione scoppiasse “da Scilla al Tanai, / dall’uno all’altro mar”. Esatto, altro che Napoleone! Immaginate, immaginate, tanto non immaginerete mai abbastanza. Ma vediamo adesso di tracciare le linee generali della storia in questione, ché il mio genio creativo scalpita e la vostra curiosità vi fa bollire sulla sedia.

Qui si parla di scambi culturali, di viaggi educativi con soggiorni in famiglia, nonché, naturalmente, di inevitabili equivoci e svariati avvicendamenti linguistici. Potremmo parlare di Intercultura, per esempio, una ONLUS ed un ente morale che apre la porta di casa ad infinite possibilità. Credetemi, davvero infinite. Abbiamo una famiglia italiana, la cui mater dirige una scuola di ballo e alleva amorosamente un figlio, che chiameremo Giuseppe, e una figlia, Ludovica. Ludovica va un anno, mettiamo il caso, in Russia, mentre al suo posto arriva, nell’allegra famigliola danzante, una giovanissima promettente ballerina di samba, Nina. Un anno è lungo, anche se passa in fretta, e i legami che si creano diventano saldi, non dico come i legami di sangue, ma quasi. Così Nina assurge al ruolo di terza figlia per la madre amorosa e Giuseppe e Ludovica scoprono con gioia questa nuova sorella. Per anni Nina, d’estate, prende il suo bravo aereo da Rio de Janeiro e torna a trovare la famiglia adottiva. Ormai è diventata una tradizione irrinunciabile.

samba, il ciclone!

Ma ecco che arriva la brezza della novità a solleticare le schiene, i colli e i fianchi dei nostri protagonisti. Ad un certo punto Nina arriva nel bel Paese non più da sola ma con un’intera colonia di giovani ballerine di samba come lei, per uno stage organizzato dalla scuola della madre adottiva. Potete facilmente figurarvi quali possano essere state le conseguenze. Beh, insomma, avete presente Il ciclone di Leonardo Pieraccioni? Non che lo citi come esempio di alta cinematografia, ma diciamo che l’effetto del samba sull’allegro gruppo di italiani della nostra storia è stato un po’ quello del flamenco sull’attore toscano. Tra i ritmi latini e il sangue bollente di due popoli passionali, un po’ di follia è inevitabilmente sbucata all’orizzonte. Feste sulla spiaggia, alcol, balli, canne, party con danze vorticanti hanno ineluttabilmente molto unito alcuni di questi vivaci rampolli. In particolare Giuseppe e il suo amico Sergio hanno subíto fortemente il fascino degli ancheggiamenti sambici della gioventù brasileira e si sono trovati sempre più facilmente avvinghiati, rispettivamente, a Vitória e Violeta. Ma attenzione: la madre non lo deve sapere! Sergio e Violeta hanno un po’ più di libertà e infatti i loro rapporti prendono una piega decisamente più sentimentale. Ma per Giuseppe e Vitória i momenti di intimità sono più difficili, con Ludovica o Nina sempre tra i piedi. La passione e l’eccitazione sono perciò costrette a crescere con il morso in bocca, giocando con baci rubati o fintamente innocenti, finché i due poverini non ce la fanno più. Adesso basta, si dicono, lasciamoci andare! Sotto l’influsso potente di alcol e canne, con la precaria protezione del buio e delle fronde di qualche albero, i baci si spingono oltre, le mani vagano e, insomma, ci siamo capiti. Violeta e Vitória sbocciano per l’azione congiunta di ormoni e segreti e in qualche occasione la doppia tresca rischia addirittura di essere scoperta. Come quando, durante una cena in terrazza, la madre di Giuseppe nota con piacere quanto le ballerine si stiano divertendo e i due amici, come una timida coppia di Giuliette, ringraziano sentitamente la protezione della notte che nasconde le loro risate.

Dalla lunga serie di intrecci e di intrighi che Sergio e Giuseppe hanno dovuto tessere per tutta l’estate sarebbe già potuta nascere una mezza soap opera, ma i due non sono facili da accontentare e vogliono che la trama sia completa. La permanenza in Italia della colonia di ballerine ormai volge al termine, ma l’eccitazione non è ancora scemata. Che fare? Non si può fare altro che mettere mano al passaporto, comprare due biglietti per il Brasile e partire senza por tempo in mezzo, continuando a coprire ogni mossa con uno spesso velo di segretezza, nero come le acque del Rio Negro. Ebbene sì, signori: Sergio e Giuseppe partono alla volta del Sud America, destinazione Rio de Janeiro, la città in cui non si può neppure andare in macchina, se non si è accompagnati e non si sa esattamente quando abbassare i finestrini e quando invece tirarli su. Una meta tranquilla per due giovanotti neoadolescenti, non trovate? Ma ora voi vi chiederete: come hanno preso la cosa Vitória e Violeta? Beh, è molto semplice. Violeta non vede l’ora di riabbracciare Sergio e i due già parlano di amore eterno (corrono, sì). Per quanto riguarda Vitória, invece, mi dispiace deludervi, ma al momento non è dato sapere, perché anche lei è all’oscuro di tutto. Possiamo solo ipotizzare con sufficiente esattezza quale potrà essere la reazione del suo convivente – sì, avete letto bene: “convivente”, compagno, di tetto e di letto – alla possibilità che Giuseppe giunga a destinazione: lo andrà a prendere all’aeroporto accompagnato da una mazza chiodata, portatrice di amore e di ospitalità.

Ora, per un momento, immaginate che io non abbia delirato dall’inizio alla fine di questo racconto, ma che abbia udito ogni singolo evento con le mie proprie orecchie, davanti ad un piatto di salsiccia piccante. L’unica cosa che mi sento di dire, parafrasando il commento di un altro uditore esterrefatto, è: “Che sugo! Vedete di non farvi ammazzare!”

Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistiti è puramente casuale, ma – lo giuro – è tutto o quasi tratto da una storia vera. E concludo con una grassa e sonora risata.

§g§