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Good Bye, Lenin!

Pubblicato: 22 dicembre 2014 da edgeofgloria in mare, varie, viaggi
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Ciao, ciao, ciao, ciao

ciao, CIAO, ciao, ciao, ciao, ciao

Ripetizione ossessiva di scene già viste

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Comfort in serie (preassemblati imballati spediti)

; rapporti high tech e felicità di vetro

[ma verde :)]

« – Che strano, non è cambiato niente. – Perché, doveva cambiare qualcosa? »

« – Che strano, non è cambiato niente. – Perché, doveva cambiare qualcosa? » (Good Bye, Lenin!)

Questa ve la svendo proprio, mentre preparo la valigia e ci infilo dentro mille pensieri. Roba vecchia di 4 anni fa, solo per dire CIAO a questa città che mi ha fatto uscire dai soliti schemi. Au revoir Gênes, e buon Natale!

neve

Era proprio arrivato. Non solo dicembre, che l’aveva colta ancora una volta impreparata, era arrivato addirittura Natale. Agata guardò fuori dalla finestra e desiderò che quei fiocchi si fermassero. La neve non le piaceva per niente, aveva sempre pensato che chi la trovava romantica dovesse essere una specie di diabetico con la mente annebbiata dai troppi zuccheri nel sangue. Lei odiava camminare nel pantano che si formava sulle strade e detestava il gelo che non riusciva mai a togliersi del tutto da mani e piedi. Per non parlare della ricerca dei regali e della folla impazzita che ti spintonava senza pietà: il Natale era un vero e proprio incubo. Così cercava sempre di passare attraverso quel periodo dell’anno a occhi chiusi e testa bassa, lavorando fino all’ultimo, come stava facendo anche in quel momento. Però era ormai irrimediabilmente il 23 dicembre. Le strade erano state fastidiosamente invase da ogni tipo di luminaria e qualche negozio del centro, in cui era entrata per caso, aveva addirittura decorato il bancone e gli scaffali con dei rametti di agrifoglio. Dappertutto poi, per completare il quadretto, c’erano presepi e immagini di famiglie unite e felici, che agivano per Agata come un continuo monito. La sua non era certo una famiglia modello, ma la Vigilia era proprio vicina e avrebbe dovuto raggiungerla comunque entro l’indomani.

Sarà ancora più difficile riuscire a far finta di niente quest’anno, si disse mentre tornava a rivolgere la propria attenzione alla pila di fogli contenenti i risultati delle analisi del sangue, appena arrivati dal laboratorio. Non sapeva perché l’avesse pensato; era stato come una specie di presentimento. Fece un sospiro e si consolò pensando che in quel periodo di tradizionali raduni e litigi familiari lei almeno poteva contare su un lavoro che amava. Altri non erano così fortunati, ma lei aveva scelto con cura la sua missione nella vita, perché quello che davvero voleva era far star bene i bambini, curarli e aiutarli a guarire. La pediatria era tutto per lei. Per un attimo, mentre continuava a controllare gli esami dei suoi piccoli pazienti, si disse che avrebbe anche potuto usare il lavoro come scusa, quell’anno, e saltare la stressante settimana di ritorno in “famiglia”. Non aveva voglia di ripensare al passato. Sempre che non sia così stupida da sentirmi in colpa dopo averlo fatto, pensò.

‹‹Dottoressa, la desiderano al telefono››.

Agata alzò gli occhi verso la segretaria e le sorrise. Essere chiamata “Dottoressa” la faceva sentire importante e riusciva spesso a interrompere i suoi flussi di pensieri negativi, come in quel momento.

‹‹Grazie, arrivo subito››.

Posò i fogli che doveva ancora esaminare sulla scrivania e si diresse al bancone della reception per scoprire chi la stesse cercando.

‹‹Pronto?››

‹‹Pronto, tesoro, sono la mamma, come stai? Ti ho chiamata per sapere quando pensavi di tornare a casa, ma quell’inutile cellulare che hai non era raggiungibile. Sei sempre irraggiungibile, così ho telefonato direttamente in ospedale. Allora, quando arrivi? Domani? Per cena?››

‹‹Oh, ciao mamma, io…››

Era tipico di sua madre investirla di parole e domande, senza darle il tempo di rispondere a nulla. Ma cos’era quel frastuono in sottofondo? Che cosa stava succedendo?

‹‹Mamma, ma che succede?››

‹‹Niente, niente. È solo Sandra che è ubriaca. Non preoccuparti, è tutto a posto. Allora, arrivi domani? Ho preparato la torta di mele e cannella, quella che ti piace tanto››.

La zia Sandra? Quella zia Sandra era a casa dei suoi genitori per Natale? Agata non poteva crederci. Era convinta che Sandra e Vittorio sarebbero andati di nuovo a Londra da Claudia, sua cugina, come avevano fatto negli ultimi anni. Credeva di essere finalmente riuscita a liberarsi di loro e invece adesso… Riconsiderò rapidamente l’idea di nascondersi sotto il letto di uno dei bambini ricoverati.

‹‹Ah. Ecco, mamma, veramente volevo dirti che non so se riuscirò a tornare a casa quest’anno. Mi dispiace, ma credo che dovrò lavorare, siamo a corto di personale››. Le parole le erano uscite di bocca come se fosse stato qualcun altro a pronunciarle. L’aveva fatto davvero.

‹‹Ma tesoro, è Natale…››

‹‹Lo so, mamma, mi dispiace tantissimo, ma non credo di poter fare diversamente. Saluta papà, ti prego, e chiedigli scusa da parte mia. Ora devo andare, ti richiamo, ok?››

Riagganciò la cornetta prima che una qualsiasi risposta potesse essere articolata e poi stette a fissare il telefono per cinque minuti buoni, durante i quali avrebbe giurato che sua madre stesse facendo esattamente lo stesso. Non poteva credere a quello che era appena successo. Aveva bisogno di fare un giro, anzi, di andarsene del tutto, tanto erano ormai le sette di sera. Avrebbe finito il lavoro a casa, durante le “vacanze”, dato che a quanto pareva non avrebbe avuto molto altro da fare. Prese la borsa e i fogli sulla scrivania e se ne andò.

Aveva guidato nel traffico cittadino per quasi un’ora senza rendersene conto ed era arrivata chissà come nel vialetto della sua villetta di periferia. Ora si trovava nell’ingresso con in testa un solo pensiero. Sandra. Zia Sandra, quella zia che tanti anni prima aveva avuto il coraggio di coprire il suo stupratore, Vittorio. Lui era suo marito (non riusciva a chiamarlo zio) e aveva abusato di Agata proprio in quella casa, alla Vigilia di un normale Natale, in cui tutta la famiglia era riunita. Sandra lo aveva coperto e difeso e ora si ubriacava allegramente in quella stessa casa. Agata non poteva rimanere con quel pensiero, le sembrava troppo assurdo. Andò in soggiorno e accese la radio, poi si versò una generosa dose di gin. Era una bottiglia regalatale mesi prima dai genitori di un bambino che aveva curato e non l’aveva ancora aperta. Normalmente non beveva da sola e a stomaco vuoto in quel modo, ma in quel momento aveva bisogno di calmarsi. La telefonata con sua madre aveva fatto resuscitare fantasmi che credeva di essere riuscita a scacciare per sempre. Era stata in terapia per anni, anche se non aveva mai avuto il coraggio di dirlo ai suoi genitori. Finché era vissuta con loro aveva fatto finta di niente, in qualche modo, ma poi si era curata. Si era fatta aiutare e fino a quella sera era convinta di essere stata capace di uscire da quel tunnel. Ora però non riusciva a togliersi dalla mente la notte in cui zio Vittorio (era ancora suo zio allora, prima che si avvicinasse a lei di soppiatto e le facesse quelle cose) era entrato nella sua cameretta e la voce della zia Sandra aveva tentato invano di trattenerlo. Agata aveva solo sei anni e stava aspettando impaziente la mattina del 25 dicembre. Credeva ancora che il nido affettuoso in cui era nata e cresciuta fino a quella sera potesse proteggerla da qualsiasi cosa. Credeva ancora che la notte di Natale avesse qualcosa di magico. E poi aveva il suo Mister Orso, chi avrebbe mai osato farle del male? Eppure qualcuno l’aveva fatto ed era stato persino qualcuno di cui lei si fidava. E la zia Sandra? Non aveva fatto nulla per fermarlo davvero. Anzi, nessuno aveva saputo niente e lei era stata schiacciata e umiliata per anni, all’insaputa di quasi tutti. Perché tutto quello schifo doveva tornare ancora a tormentarla e perché proprio a Natale, di nuovo? Non era stato abbastanza che una cosa simile l’avesse portata a odiare la festa della famiglia per eccellenza? Quella notte, quella disgustosa Vigilia di Natale non le aveva ancora rovinato abbastanza la vita? Non ne era ancora uscita? Evidentemente non ne sei uscita per niente, mia cara, si ritrovò a pensare con un mezzo sorriso ironico tra le lacrime.

Aveva mentito a sua madre, nell’ultima telefonata come in tutti gli anni trascorsi da quell’orribile Vigilia, ma ora si rendeva conto che avrebbe tanto voluto che lei fosse lì in quel momento, che sapesse e che la stringesse tra le sue braccia. Era tornata bambina un’altra volta. Continuò a bere e ad ascoltare la musica, cercando di fermare le lacrime che ormai le inondavano il volto. Che cosa poteva fare?

mano nella neve

A un tratto le parole di una canzone natalizia che invitava al perdono colpirono una corda nascosta della sua anima. Posò il bicchiere quasi vuoto vicino ai suoi piedi e si mise ad ascoltare. Una voce calda e gioiosa ripeteva di perdonare, perdonare tutto il male del mondo, e cullava il cuore ferito di Agata. Era questo il vero senso del Natale? Il perdono? Forse sì, se Dio era stato in grado di sacrificare Suo figlio, un figlio che era stato un bambino indifeso proprio come lei, per perdonare l’umanità intera. Si sentiva così male e il gin era servito solo a stordirla ulteriormente. Chissà con che cosa si ubriaca Sandra, si chiese per un attimo. Chissà se anche lei, come Agata, si era sentita in colpa e paralizzata, quando alla Vigilia di Natale di tanti anni fa non era riuscita a fermare un mostro. Chissà se era il senso di colpa il motivo per cui beveva.

Che cosa avrebbe dovuto fare adesso Agata? Tornò a lasciarsi andare alle parole della canzone che ancora uscivano dalla radio. Dicevano che avrebbe dovuto perdonare. Doveva perdonare suo zio per averla stuprata e sua zia per non aver detto niente? Doveva perdonare i suoi genitori, che non si erano accorti di che cosa fosse successo alla loro bambina proprio sotto al loro tetto? A quel punto sarebbe stata finalmente meglio, finalmente bene? Sarebbe riuscita a perdonare anche se stessa? Erano troppe domande e lei era troppo sola per poter rispondere a tutte. Però una cosa la sapeva, l’aveva capito quando il suo mondo era di nuovo crollato come un castello di carte per una semplice telefonata in cui era stato fatto per caso il nome di Sandra. Non poteva più affrontare tutto quanto da sola e non poteva stare da sola a Natale. Aveva bisogno della sua famiglia, che non era perfetta, ma era lì, c’era e poteva ascoltarla.

Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei jeans e lo accese. Ora basta rendersi irraggiungibili, basta isolarsi e nascondersi. Guardò l’ora: era quasi mezzanotte, quasi la Vigilia di Natale. Compose il numero di telefono del suo vecchio nido, la casa dei suoi genitori. Ci furono quattro squilli di seguito e poi scattò la segreteria. Non erano arrivati in tempo, ma sapeva che erano in casa. Qualcuno l’avrebbe ascoltata. Anche se era tardi i suoi genitori erano sicuramente ancora svegli, intenti a sistemare le ultime decorazioni dell’albero o a sfornare una teglia di biscotti per la colazione del 25. Fece un profondo sospiro e cominciò a parlare qualche secondo dopo il bip.

‹‹Mamma, papà, ho mentito. Non è vero che dovevo lavorare. È che non avevo voglia di vedervi››. Sì fermò, appena il tempo di un respiro e poi continuò: ‹‹Ho fatto un terribile errore e c’è qualcosa che devo dirvi. Avrei dovuto parlarvene tanto tempo fa, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Scusatemi. Vi voglio bene››.

Aveva appena finito di parlare quando qualcuno sollevò la cornetta dall’altra parte: avevano sentito il suo messaggio. Percepì il respiro preoccupato di sua madre prima ancora che potesse dire qualcosa e capì di aver fatto finalmente la cosa giusta. Questo Natale cambierà tutto. Il primo triangolo di carte era rimasto in piedi.

§g§

Che confusione, sarà perché ti amo! No, non è per questo che siamo tutti un po’ smarriti e preoccupati, ma più che altro perché nessuno si è ancora deciso a dirci una volta per tutte quando caspita dobbiamo morire. Qualcuno pensava alle 12.12, ma siccome il mio PC segna le 12.41, mi sento di dire che questa previsione era sbagliata. Deve essere una questione di fuso orario, per cui la prossima Apocalisse bisogna aspettarla per le 00.32… di domani. Intanto BuyVip fa una super offerta di spedizione gratuita solo per oggi (e se il mondo finisce poi che me ne faccio?!) e due paesini italiani, gli unici che dovrebbero sopravvivere all’Armageddon, vengono presi d’assalto da turisti impauriti che vorrebbero salvarsi a tutti i costi, a dispetto delle convenienze per la specie umana.

l'incriminato calendario Maya

l’incriminato calendario Maya

Bah, io devo dire che sono piuttosto tranquilla sul Giudizio Universale, so già che non ho mai fatto troppe buone azioni. Mi dispiace soltanto che queste mie ore restanti non saranno così spensierate e folli come ci si aspetterebbe che fossero le ultime coscienti ore di vita. Dobbiamo DECISAMENTE pulire casa in vista dei festeggiamenti di Capodanno e devo proprio comprare i regali di Natale, uscire al freddo, congelare, maledire l’inverno e il fenomeno di Raynaud.

In questo clima calmo e sereno riporto qui una battuta azzeccata in cui proprio ieri mi sono imbattuta guardando una vecchia puntata di Grey’s Anatomy:

macabra ironia o coincidenza?

macabra ironia o coincidenza?

“Non morire mai!”

“Farò del mio meglio”

Macabra ironia o semplice, banale, coincidenza? No, è che quel telefilm mi fa sempre piangere.

§g§