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Il Bel Paese è un gran gineceo e non sto parlando del famoso formaggio. Sono un giovane (e già partiamo male) medico (sottofondo di risate del ministro Giannini) donna (qui forse ho qualche speranza) che nella vita vorrebbe fare un po’ di ricerca scientifica che sia degna di questo nome. So che state pensando che sia appena partito l’intermezzo comico, ma vi giuro che è proprio quello che sogno di fare. Sorridete, lo vedo, e capisco perché. Sorrido anch’io, dai, ho una buona dose di autoironia. Non è credibile che una persona dotata di senno possa desiderare una carriera da ricercatore in un Paese in cui si fatica a trovare un bagno pubblico non infestato da parassiti grandi come la testa di un cavallo. Gloria, anche tu, un po’ di realismo!

Avete ovviamente del tutto ragione, ma il realismo mi ha rotto i cojones, per dirla con finezza alla Rocky Balboa. Negli ultimi mesi ci ho sbattuto la faccia una marea di volte e francamente mi sono stancata. Oggi i giovani devono essere smart, dinamici, flessibili, vogliosi di lavorare fino alla prostituzione, non si può più vivere di sogni e speranze, l’amor proprio e l’orgoglio sono bagagli inutili da portarsi appresso. Simili concetti mi sono stati ripetuti fino alla nausea e ora dovrò iniziare a dirmelo anche da sola. Lo sai, Gloria, che bisogna adattarsi, che se ti mandano a lavorare a 1000 chilometri di distanza con un preavviso di una settimana tu ci vai e stai zitta, perché è del tuo futuro che si sta parlando e se hai glutei sufficientemente sodi per farti ripescare in un concorso pubblico dopo mesi di attesa poi non fai la pignola su dove ti spediscono. Ma sapete che c’è? A me non va bene questo sistema delle proposte che non si possono rifiutare, delle bottiglie di Barolo da portare al primario, del rimming selvaggio per un briciolo appena di considerazione. Io l’antiquata valigia di cartone con valori e morale un po’ schiacciati dentro continuerò a portarmela in giro e ad attaccarci gli adesivi di viaggio, con tutto l’orgoglio di cui sono capace.

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Intanto – io e lei – possiamo dire una cosa di Genova, che ci sta ospitando, anche se per poco (ancora grazie alla flessibilità): la Superba merita tutto il suo nome. Superba nel resistere alle alluvioni, Superba nello smentire tutti i luoghi comuni. Se qualcuno vi parla male dei genovesi ridetegli in faccia perché sta mentendo. Mi hanno offerto da bere già fin troppe volte e hanno conquistato il mio cuore in un nanosecondo. Quando non vedi un amico da 18 anni ed è quasi come se non fossero passati, quando cammini in un vicolo pieno di gente ubriaca di vita, non puoi che inchinarti e sorridere di gratitudine per un mondo così, colorato, folle, frenetico, imprevedibile, bello. Posso partire, dopotutto, posso essere flessibile, tanto so già che tornerò a Pasqua!

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Cari lettori elettori – siccome a un passo dalle urne veniamo miseramente considerati null’altro che voti ambulanti – ho deciso di interrompere, nonostante i miei buoni propositi, il silenzio stampa del periodo della campagna elettorale per una questione di insindacabile importanza.rimborso

Ci hanno abituati, negli ultimi tempi, alle letterine. Letterine nei programmi televisivi, letterine nei palazzi del potere, letterine(ine ine) a letto con i grandi piccoli personaggi della politica italiana. E poi letterine di tipo diverso, affascinanti come le prime ma decisamente più scaltre e sottili. Letterine che, al contrario di quella che i bambini compilano e inviano trepidanti a Babbo Natale, noi stiamo invece ricevendo porta a porta, compilata da qualcun altro con i desideri che dovremmo avere.

Al di là dei fiumi o mari di polemiche interne che sono state l’anima di questo ultimo mese – credo che a questo punto tutto sia stato detto, più e più volte – mi permetto giusto un paio di riflessioni al riguardo, in parte controcorrente come al solito.

IMU. Evitando la domanda retorica del “Ma chi l’ha votata?”, ma a voi, cari italiani, pare davvero così sbagliato che si debba pagare una tassa sulla casa di proprietà? Siamo in crisi, a tutti viene (o dovrebbe) essere richiesto un contributo e – questo mi pare indiscutibile – salvo eccezioni, chi possiede una casa parte decisamente avvantaggiato nel grande gioco dell’economia domestica. Il pagamento di un affitto è sicuramente una delle voci di spesa più onerose di una famiglia, se poi un paio di figli sono anche all’Università, praticamente metà delle entrate se ne volano fuori dalla busta paga in questo modo. Ai tanti che “invidiano” i contributi che le Università elargiscono a quelli che sono in fascia uno o fascia zero o la grande fortuna di non avere una casa di proprietà, semplicemente propongo con il sorriso di fare cambio. So di poter essere impopolare, con queste affermazioni, di tirarmi addosso l’antipatia di chi paga l’IMU su una casa che sta pagando con un mutuo e di tante situazioni difficili nonostante la casa di proprietà. I casi particolari esistono, sempre, ma la linea di massima non può certo prevedere tutto. Molto più spesso, ci si lamenta, come si suol dire, a gamba sana: alle zabette piemontesi che inveiscono contro le tasse che devono pagare sulla loro seconda (terza? quarta?) casa al mare, che affittano a cifre astronomiche nei mesi estivi, porgo un sincero invito all’antico sentimento del pudore, oppure a vendere questi onerosi beni di lusso, fare le valigie e portare la loro acidità in remote località tropicali con biglietto di sola andata.

Il rimborso. Al di là dell’assurdità della proposta, cari italiani, ma da chi verrebbe pagato questo famigerato rimborso -secondo voi – se non da noi stessi? La coperta è sempre della stessa grandezza, se hai lasciato scoperti i piedi per coprire la testa, promettendo di ricoprire i piedi finirai con lo scoprire la testa un’altra volta! Il rimborso porterebbe a buchi che, in qualche modo, dovrebbero di nuovo essere tappati, o peggio, rimarrebbero aperti. Cosa dovrebbe poi guadagnare chi non possiede un immobile da questo provvedimento?

Ma veniamo all’ultimo, cruciale, punto di questo mio pensiero. Ho udito da mille fronti dichiarare che la tassa sulla prima casa è ingiusta perché la casa è il fulcro della famiglia, perché la casa è quello che un padre deve garantire ai propri figli, perché sulla casa si costruisce la solidità dei rapporti interpersonali familiari. Quindi – fatemi capire – quegli stessi personaggi che eleggono a vessillo della loro campagna elettorale la famiglia, quella vera, composta ovviamente da uomo e donna atti a generare figli, che elevano la famiglia a primo e fondamentale nucleo sociale, che credono nella famiglia come massima istituzione da tutelare e proteggere, ora non si fanno il minimo scrupolo a ridurla a quattro mura, purché di proprietà. Un concetto squisitamente nonsense. La famiglia è fatta di amore, di tempo speso volentieri a parlare, di tempo speso malvolentieri a discutere, di compleanni festeggiati tutti insieme, di problemi e sofferenze condivisi, di mattine di Natale svegliati alle 7 dalla sorellina che vuole aprire i pacchetti, di pomeriggi passati in montagna con il proprio papà e di mamme che ti preparano la colazione quando ti devi faticosamente alzare presto per andare a scuola. A volte, anche di genitori che la preziosissima casa di proprietà dei loro sogni la vendono pur di mandare i figli all’Università. Questo, e tanto altro, è famiglia, e spacciarla per altro è un misero tentativo di giustificare il fatto che un immobile è tutto ciò che si è riusciti a passare ai propri discendenti.

Le elezioni si avvicinano, come sempre specchio di quello che è la popolazione italiana, o di quello che qualcun altro le fa credere di essere. La mia letterina, l’ho scritta. Speriamo che questo Babbo Natale fuori stagione riesca a non deludermi più di tanto!

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Sono in ambulatorio a lottare con il sonno, perché ho la cattiva abitudine di boicottare il letto almeno fino all’una di notte, anche quando so che il giorno dopo devo “lavorare”. Tra virgolette perché naturalmente non mi pagano e chissà quando mai si decideranno a farlo. Trattengo uno sbadiglio e getto uno sguardo al cellulare, che stranamente lampeggia. Che succede? Una chiamata e un messaggio, che sarà mai?! La tipa dell’agenzia, ecco, quella che se l’era presa perché l’avevo chiamata “la tipa dell’agenzia”. Gestisce il nostro contratto d’affitto e la maggior parte dei rapporti con l’amministrazione di condominio e con i proprietari, anche se in modo a volte discutibile. Non ho ancora capito il perché di quel suo piglio petulante e degli ostinati errori grammaticali che popolano le sue frasi: non so se sia perché è una donna dalle risorse limitate – eh sì, esistono anche quelle! – o se è semplicemente troppo stressata. In ogni caso la cosa mi sembra urgente, per cui la richiamo subito, con un filo di ansia, lo ammetto. Ho sempre avuto qualche difficoltà a rapportarmi con le persone che vestono intenzionalmente la maschera dell’autorità, professori, poliziotti, agenti immobiliari frustrate. Chissà, forse in una vita precedente ero una ladra, un’assassina o una truffatrice di vecchiette o forse ho solo una specie di sesto senso, il senso della diffidenza.

la curiosità ha ucciso il gatto o “la portinaia”

Questa volta comunque ci avevo visto giusto. Non appena comincia la conversazione la voce invadente della mia interlocutrice va alla carica con una serie di domande sempre più indiscrete ed insinuanti, senza tenere in alcun conto quel concetto prezioso che tutti noi conosciamo con il nome di privacy. Le hanno detto che in casa nostra vivono più di due persone, come a dire che ci stiamo dedicando all’illegale pratica del subaffitto. Non so, forse le nostre multiple personalità hanno acquisito delle forme proprie senza che noi ce ne accorgessimo, e adesso ci sono in giro cinque copie di me e tre copie del mio coinquilino, ma francamente mi sembrerebbe più probabile l’ipotesi che qualcuno abbia voluto calunniarci. Voi che ne dite? Ma lasciamo stare l’aspetto legale della cosa e andiamo avanti. Le illazioni nei nostri confronti non sono finite: oltre al danno la beffa, perché, in aggiunta al fatto che in ambulatorio ci vado dal mattino alla sera per la gloria e per beneficenza, pare pure che questa mia assenza, prolungata per tutto il giorno, dalle mura di casa abbia aperto la strada alla bizzarra idea che io mi sia addirittura trasferita altrove, cedendo il mio posto in villa, faticosamente conquistato a suon di gesti di divismo, ad un’ignota “altra ragazza”, che sarebbe poi solo una compagna di studi del mio convivente. E giù domande, quesiti, questioni, interrogazioni, giù a scavare il più a fondo possibile nella nostra vita privata, sulla natura delle nostre frequentazioni, su chi entra e chi esce (e chi esce con chi), ma io dico: perché? A che scopo farsi così spudoratamente i fatti nostri quando non stiamo facendo nulla di illegale? Io sentivo puzza di bruciato e l’ho detto chiaramente. Non poteva essere Brittany, la vicina delle martellate alla mia festa di laurea, ad interessarsi tanto della nostra vita sociale, perché lei non poteva sapere a quanti fosse stato intestato il contratto. Chi allora? Un’insospettabile vecchina, naturalmente, vestita con colori sgargianti, dallo sguardo vispo, dalla voce sottile e circospetta. Casalinga di professione, portinaia e zabetta di vocazione. Mai fidarsi delle vecchiette ben vestite e benpensanti, di quelle che ti dicono che a casa tua puoi fare quello che vuoi e che non devi rendere conto a nessuno, perché di solito lasciano sottinteso un “a nessuno tranne che a me”, arrogandosi il diritto di vigilare sulla tua condotta, in nome di una presunta disinteressata gentilezza, come se fossi in un collegio di suore. Si divertono, queste signore “senza più vizi, senza più voglie” a trovare interessanti le vite altrui, forse scambiandole per soap opera dalle trame intriganti; spero non del calibro de L’onore e il rispetto, giacché mi auguro di non poter essere scambiata per il tanto poco virile Gabriel Garko. Che altro dire? Sono lusingata? Un pochino sì, ammettiamolo. Un po’ mi diverte sapere che la nostra vita ormai tanto ordinaria – a parte le volte in cui cucino in mutande pur essendo in vetrina – possa risultare per qualcuno così interessante. Siamo diventati gli inquilini dello scandalo, al centro di un’infinita e sciocca questione di cortile, la nostra “villa” si è tramutata nella Maison du scandale e la cosa mi fa alquanto ridere. Sono ancora più soddisfatta per aver capito in tempo chi fosse la ficcanaso, per l’orgoglio delle mie capacità investigative. Un punto al genio di Gloria Poirot!

Se posso, vorrei concludere con una vena di altruismo, offrendo un appunto e un vivo consiglio a tutte le zabette e le portinaie di questo triste e noioso mondo: si può uscirne,  fatevi una vita, per gli anni che vi restano!

§g§ [Gloria Poirot]

Cari lettori, se siete o siete stati anche voi studenti fuori sede e non avete avuto la (s)fortuna di vivere in collegio, sicuramente avete, come me, provato l’angosciosa incognita di dover ricercare forsennatamente un nuovo appartamento e dei nuovi coinquilini con cui abitarlo. Ardua ricerca, non tanto per il contenuto vero e proprio dell’impresa, quanto per le varie specie di casi umani in cui ci si imbatte dandosi da fare in operazioni di questo tipo. Dai sociopatici veri e propri ai decerebrati semplici, cercherò ora di enucleare una carrellata di esemplari che, stenterete a crederlo, provengono tutti da storie assolutamente vere.

  • quelli fissati con la cosiddetta settimana corta; non riesco veramente a capire per quale motivo un locatore dovrebbe preferire un affittuario che non c’è nel week end ad uno che occupa la casa in pianta stabile. Pensa forse di potersi introdurre furtivamente ed illegalmente in casa per dare festini degeneranti a base di alcol e sesso il sabato sera? pensa di poter subaffittare la stanza a qualche categoria incognita di persone alle quali servirebbe soltanto dal venerdì alla domenica? punta sul fatto che in questo modo le cerniere dei mobili e delle porte si usurino di meno? Mistero della fede. E alla domanda: “ma se volevate un inquilino che fa la settimana breve, perché non l’avete scritto nell’annuncio?” la risposta ” perché così ci chiamerebbe meno gente!” suona squisitamente nonsense.
  • quelli che dividono tutto; eccoci in un amabile appartamento occupato da tre fanciulle in cerca della quarta sorella in spirito con cui condividere tutto. O meglio solo l’appartamento. O meglio, praticamente nulla. Il bagno è privo di tutto, non ci sono mobiletti, asciugamani, spazzolini. Interrogata a proposito, la paranoica inquilina dichiara che per motivi di igiene in bagno non si tiene nulla, ogni ragazza si porta di volta in volta tutto appresso, compresa la carta igienica, rigorosamente individuale e personale. Ora, l’unico posto al mondo dove si entra nel cesso tenendo in mano il rotolo è il campeggio, per il semplice fatto che spesso ne è sprovvisto. In ogni caso, faccio davvero fatica ad immaginare queste ragazze che al mattino fanno la coda per la doccia con tanto di mobiletto montato su rotelle trascinato al loro seguito a mo’ di trolley. Le comodità di prendere casa, eh!
  • quelli anacronistici; pensi che l’uomo ultracinquantenne che ha suonato il tuo campanello sia venuto per prendere in affitto la stanza per il figlio studente, ma ti sbagli di grosso. Si tratta di un lavoratore desideroso di vita in comune e stufo del pendolarismo. Con malcelato imbarazzo, complici gli altri coinquilini che ridono sguaiatamente in faccia al malcapitato, rispondi alle sue domande prive di buon senso: “Ma quindi sarei il coinquilino più vecchio?” “No, affatto, nella doppia ci sono Rita Levi Montalcini e Margherita Hack. E fanno pure la settimana corta”. “Ma avete dei momenti di aggregazione prestabiliti?” “Naturalmente! Tutti i giovedì rosario davanti al camino e tutte le domeniche dopo pranzo ci diamo al ricamo collettivo”.
  • quelli dei no. No alle matricole, come se quelli che al primo anno di università hanno devastato la casa a partire dal secondo diventassero automaticamente agonisti del mocho vileda ed appassionati di lavaggio piatti. No ai ragazzi maschi, perché sicuramente non si lavano, non cucinano, non hanno rispetto dei mobili e tenteranno di insidiare la vostra verginità in ogni modo. Molto meglio un covo di vipere tutto rosa, e viva il luogo comune. No ai fumatori: d’accordo, neppure a me piace l’odore di fumo, però non è detto che l’inquilino in questione fumi in cucina e depositi la cenere sul divano! Magari poi vi beccate qualcuno che ha la fiatella ai sapori d’oriente o una campionessa interregionale di puzzette silenziose, oppure una balena spiaggiata che gira per casa seminuda e si chiede il perché del suo colesterolo alto mentre prepara il fritto misto mangiando pane e margarina. E dove pensate che sarà il vostro dio, in quel momento? 

Ce ne sarebbero tante altre di storie come queste, le dolcezze della vita comunitaria non sono certo così poche, quindi aspettatevi, presto o tardi, un seguito. Per la stesura di questo articolo si ringraziano una bionda ed una ancor più bionda- lascio a loro la rispettiva identificazione- i vostri spunti e vividi racconti sono stati davvero fonte di grande ispirazione!

/m